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Ritratti: Giulio Iacchetti

L’appuntamento è nel suo studio. La prima domanda è sua, ed è rivolta a noi. «Sono molto curioso di sapere che cosa vi abbia spinto a intervistare proprio me, per una rivista di yacht design». A pensarci bene, la risposta è racchiusa tutta qui, in questo suo approccio, che unisce curiosità, ironia, praticità, acutezza e semplicità. E se si aggiunge un’abbondante dose di cultura, non solo nel suo campo d’azione, quale altro motivo serve ancora per volere incontrare una persona?

©️Max-Rommel

Giulio Iacchetti, designer industriale dal 1992, si è aggiudicato due Compassi d’Oro, il primo dei quali nel 2001 per Moscardino, posata multiuso in Mater-bi, disegnata con Matteo Ragni per Pandora Design. Due premi che sono la prova del suo interesse per la ricerca e per la definizione di nuove tipologie oggettuali, come dimostra anche il Premio dei Premi per l’Innovazione conferitogli nel 2009 dal Presidente della Repubblica italiana per il progetto Eureka Coop, con cui ha portato oggetti di design di uso quotidiano nella grande distribuzione organizzata, a prezzi accessibili.

Ed è proprio questo concetto di innovazione, legato a quello di disobbedienza «intesa come presa di distanza da chi resta fermo, legato a un canone, reiterando le stesse “cose”, e come motore che spinge avanti il mondo», che ci ha portato fino a lui. Per capire che cosa ne pensa delle innovazioni nel campo dello yacht design, per esempio, e della contaminazione tra i vari settori.

©️FabriziaParisi


«Non sono un sostenitore della contaminazione esasperata: uno yacht deve rimanere tale e non diventare un ibrido che replica il concetto di casa», sottolinea Iacchetti. «Molte imbarcazioni che vedo in giro mi annoiano, trovo siano monotone, molto simili tra loro; se devo pensare a un progetto originale, unico, veramente figlio di una contaminazione sensata, penso ai lavori di Philippe Starck, ma bisogna sapere arrivare fin lì. La mia barca preferita? Deve essere un oggetto semplice, in cui siano ben chiare le forme e le funzioni». 

Quello della semplicità è un altro concetto molto caro a Giulio Iacchetti. «Il lavoro di un progettista è simile a quello del traduttore, che si mette a servizio delle persone per rendere comprensibile un linguaggio sconosciuto: noi dobbiamo rendere le cose percepibili, semplici; il che non significa impoverirne i contenuti, bensì farle diventare comprensibili e alla portata di tutti. È questa la vera rivoluzione, anche nel design».

Ed è proprio questo il pensiero che c’è dietro al progetto Internoitaliano, una sorta di fabbrica diffusa costituita da un sistema di aziende manifatturiere e laboratori artigiani che rappresentano l’eccellenza del vero made in Italy, producendo e vendendo oggetti d’arredo di altissima qualità, nel solco della tradizione. «Dove il concetto di tradizione, però, è legato a quello di “tradire”: quindi chi ne fa parte non rimane fossilizzato in archetipi e in proprie convinzioni, ma è capace di andare oltre, nel nome dell’innovazione e dell’evoluzione». 

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